lunedì 25 marzo 2013

L’insostenibile leggerezza dello sport


L’insostenibile leggerezza dello sport

di Guido Martinelli
Un sabato mattina assisto a un interessante congresso territoriale di un importante ente di promozione sportiva (UISP Bologna, ndr). Tra molte cose di indubbio interesse, a dire il vero più sul versante motorio che sportivo, due mi hanno fatto riflettere e preoccupare molto.
La prima è stata la presentazione dei c.d. “impianti leggeri”. Per impianti leggeri si intendono strutture sempliciidonee per le pratiche motorie, ma assolutamente non adatti a ospitare incontri omanifestazioni sportive ufficiali, per carenza di spazi sia per il pubblico sia per le misure delle aree sportive non conformi ai regolamenti delle varie discipline. È chiaro che l’idea non possa non piacere. È a basso costo, basso impatto ambientale, soddisfa la domanda di motricità dei cittadini visto che, al loro interno, possono svolgersi attività come la ginnastica per anziani o l’alfabetizzazione motoria. Anche iproblemi di gestione sono quasi azzerati, per l’assenza di impianti a tecnologia complessa (tabelloni elettronici, cronometri, ecc.) collocati all’interno. È indubbio che per questi un futuro sia garantito.
Lo sport è anche questo
L’altra è stata l’osservazione che, nella città che ospitava la manifestazione (Bologna, ndr.), non ci fossero impianti per calcio e basket di capienza tale da poter ospitare le manifestazioni internazionali, in conformità ai regolamenti delle Federazioni straniere. A questo punto un flash di ricordi (dicono che nella vecchiaia si incrementa la memoria meno recente): sferisterio, glorioso impianto di pallacanestro di Bologna, trecento posti a sedere in sedie da cinema, campionato di prima divisione, la squadra che allenavo impegnata in un incontro importante con le fidanzatine sugli spalti che facevano il tifo e i vecchietti che per passare il tempo (e stare al caldo) venivano a vedere gli incontri. I nostri tifosi.
Credo e sono convinto che lo sport sia anche questo e questo sia un passaggio indispensabile se non vogliamo arrivare a uno sport di Stato nel quale i cittadini fanno moto, ma hanno perso la possibilità di fare sport.
Pertanto ben vengano gli impianti leggeri, ma che siano il primo passo per quelli non dico pesanti, ma almeno idonei a fare sport (d’altro canto, pur non essendo un progettista, non credo che costi molto di più fare una piscina di 25 metri, omologabile, piuttosto di una da venti che non può ospitare attività agonistiche).
Così come evitiamo le cattedrali nel desertonon vale la pena spendere milioni di euro solo per ospitare una partita del sette nazioni di rugby o di coppa europa di basket.
Chissà cosa intendono loro per sport?
Purtroppo però l’attività agonistica delle associazioni sportive ormai sta diventando la cenerentola. Le Federazioni sportive e i gruppi sportivi militari si gestiscono l’attività di vertice (l’ultima è la Federazione rugby che è diventata proprietaria del 100% delle quote di una srl sportiva che svolge attività internazionale); l’attività intermedia fatta dalle associazioni sportive (senza la quale, si ricorda, non c’è crescita) è affogata dai debiti e dalla assenza di impianti. Tutti i giorni, i media ci danno notizia di una gloriosa associazione sportiva che cessa la propria attività.
Idea. Il boom delle associazioni sportive deriva, anche, da una agevolazione che non ha eguali nel mondo del non profit: la non imponibilità dei compensi agli operatori ai fini previdenziali, assicurativi e, in parte, fiscali. Questo ha fatto sì che molte associazioni di carattere culturale - ricreativo si sianoimprovvisamente convertite allo sport. Leggendo gli affiliati ad un ente di promozione sportiva troviamo associazioni di yoga, di turismo, di viaggi, di cultura. Chissà cosa intendono loro per sport? In realtà queste, così come tutte quelle che fanno attività motorie, vivono di “corsi” o di ingressi a impianti da loro gestiti, pertanto erogano solo servizi dietro corrispettivo. Ma così facendo è sufficiente che parametrino i servizi all’appeal che questi riscuotono presso il “cliente” che li finanzia, e che quasi sempre fa diventare un business questa attività.
Un esempio. Leggo sul sito di una società sportiva dilettantistica, che si definisce: “attualmente azienda leader in Italia nella gestione di strutture sportive di proprietà pubblica”, come essa abbia iniziato una attività di franchising, dichiarando di aver avuto nel 2010 un fatturato di euro 16.700.000. A onor del vero fa anche, in questo caso, attività agonistica, anche se sicuramente non proporzionata all’attività corsistica o di nuoto libero svolta. Non è certo questo “imprenditore” a rimetterci. Chi è quello che ci rimette? Il Presidente o il dirigente che di tasca sua paga i giocatori che fanno la promozione di calcio, di volley o di basket. E che non trovano più sponsorizzazioni.
Una proposta, ma risolverà la situazione?
A questo punto la proposta forte: revochiamo ogni agevolazione a tutte quelle associazioni sportive che non dimostrino di fare attività agonistica, o comunque competitiva, o comunque che siano collegate direttamente ad altra associazione che li svolge, e dreniamo risorse in favore di chi fa attività agonistica. Se fanno impresa è giusto che si facciano regolare solo dalle logiche del mercato. Chi, invece, per passione, investe di suo nello sport, almeno che sia aiutato con le agevolazioni fiscali.
Ma alla fine il problema resta. Dove giocheremo a Bologna la promozione di volley o di basket tra alcuni anni, se si andranno a realizzare solo impianti leggeri o a progettare cattedrali nel deserto?

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